Sidebar

Magazine menu

04
Mer, Dic

ANTOLOGIA DELLA CRITICA:

L’artista dell’intransigenza che rifiuta l’ovvio
di MARIO FRANCO


MARIO Persico vive al Vomero, ad un terzo piano senza ascensore che definisce «a prova d’infarto» sulle scale tra via Luca Giordano e via Aniello Falcone. Se con un solo aggettivo volessimo definire e qualificare la sua avventura artistica e umana, dovremmo utilizzare un unico vocabolo: intransigente. E non perché Mario Persico sia ossequiente a norme o principi stabiliti, ma per il suo impegno rigoroso, per essere un artista lucido e raziocinante che ha sempre rifiutato la mistica dell’estasi e dell’estro, della folgorazione, della gestualità ispirata, per concentrarsi su ciò che i romantici chiamavano “Erlebnis”, l’esperienza interiore non disgiunta dalla visione storica del mondo. Questa intelligenza insieme partecipe e distante, introversa ed estroversa, ha saldato le sue antinomie, nel tempo, con un procedimento logicomentale che ha consentito all’artista di integrare il ragionamento con una visione magica e ambigua della realtà. Ma cos’è la magia per Persico, gran maestro dell’Istituto Patafisico Partenopeo, editore della rivista Patapart? «La magia rappresenta il mio legame con Napoli — risponde — una città che è come una scatola cinese: cominci a conoscerla e ne scopri un’altra e così via; e ciascuna ha una propria cultura e una propria economia. Magia, miseria e potenziale creativo — continua Persico — fanno parte della stessa radice e rendono possibile la sopravvivenza anche nei momenti più difficili. La magia è inoltre un dato concreto della mia infanzia. Vivevo con i nonni, i miei genitori erano separati, e c’era una miseria di cui oggi non si ha più memoria. Quando mia madre veniva a portarci da mangiare, oppure a portarci i fiammiferi per avere la luce, per me era una maga, un’apparizione dispensatrice di gioie». Poi la scoperta dell’arte, il desiderio di mettere a frutto un’innata capacità di disegnare, colorare, assemblare. In Accademia il giovane Persico fu ben presto tra i protagonisti del gruppo nucleare, che aveva il suo maggior rappresentante nel milanese Enrico Baj. Il nucleare praticava un impasto cromatico e materico non dissimile da quello della pittura informale, ma era sensibile ai temi dell’era atomica, fonte di paura (la bomba) e di speranza (un’energia illimitata). Il contatto con i movimenti nazionali d’arte contemporanea, nell’assenza cittadina di una rete di gallerie e di mercato, avveniva proprio in Accademia, luogo altrove ligio alla tradizione, ma, a Napoli, sede di movimenti e istanze che proprio dalla tradizione, intesa come retaggio di un manierato pittoricismo ottocentesco, volevano fuggire. La frequentazione con Colucci e Biasi fornirono a Persico un bagaglio tecnico (ibridazioni di tempere e vernici, che facevano esplodere in craquelure artificiali smalti industriali e colle viniliche) e ideologico che metteva in crisi il dipinto come oggetto tesaurizzabile, il manufatto artistico come significante assoluto. I dipinti di Mario si riempivano di oggetti, di cianfrusaglie da rigattiere. «Era un dato della mia biografia.Per poter studiare avevo fatto il rigattiere con i miei zii; scartavo stracci di cotone per tenere quello di lana, un vetrino che si incastrasse in un orecchino… Questo lavoro mi seduceva, raccoglievo frammenti che erano brandelli di vissuto e di esperienze». Persico cominciò a frequentare Guido Biasi e la sua casa con una ricca e nutrita libreria, affascinato dal virtuosismo eclettico dell’amico che non si esprimeva solo in continue invenzioni pittoriche, ma comprendeva qualità di scrittore, di teorico e si manifestava in infinite curiosità per la letteratura, le teorie esoteriche, la lezione delle avanguardie storiche. Insieme espongono a Monaco, a San Marino, a Napoli, a Firenze. Poi Persico ha la sua prima “personale” a Stoccarda nel 1959 presso la Galleria Senatore. Quindi il rapporto con Arturo Schwarz. «Sì, Schwarz rese possibile il mio desiderio di vivere con la pittura. — racconta Persico — Avevo un contratto di quarantamila lire per sei quadri e un insegnamento in una scuola parificata dalla quale ricevevo sedicimila lire al mese. Era il 1960. Schwarz era irascibile quanto me. Comunque fu un rapporto molto bello. Quando andavo a Milano mi ospitava, mi portava a teatro… io ero un po’ intimidito da quell’atmosfera». Sono gli anni in cui Man Ray viene a Milano grazie a Giorgio Marconi, gallerista di Baj e Arturo Schwarz convince Marcel Duchamp ad una riproduzione seriale dei suoi “ready made”. Persico e Biasi si sentono partecipi di un movimento complessivo, europeo, che implica grande politicizzazione e grande voglia d’agire. A Milano Persico conosce e frequenta artisti come Manzoni, Baj, Breton, Duchamp. «Voglio raccontarti un episodio — dice — Ero con Baj alla stazione di Milano per accompagnare Marcel Duchamp in partenza per Parigi. Ad un certo punto Duchamp ridendo ci disse: “Ma avete visto quante Fountain ci sono nei musei di tutto il mondo?”. Il che, secondo me, non significa solo il fatto che il suo famoso orinatoio era stato riprodotto e moltiplicato, ma era anche una critica al mercato, che addomestica ogni audacia ed infrazione, rimettendola nella tranquillizante categoria dell’eccentricità e dello scandalo. Così tutto diventa mercificabile». Gli chiedo del gruppo ‘58 e delle riviste di cui fu redattore, “Documento Sud” e “Linea Sud”. «Il gruppo ‘58 nacque per far fronte comune contro la volgarità piedigrottesca della Napoli laurina. Luigi Castellano ne fu il motore propulsore, il gruppo era formato da pittori con interessi diversi come Bruno Di Bello, Sergio Fergola, Del Pezzo, da me e da Biasi… Poi il ruolo del gruppo si ampliò anche per i rapporti che subito intercorsero tra noi e l’esordiente poeta Sanguineti o Emilio Villa. “Documento Sud” fu la rivista che polarizzò sul gruppo e sulla città l’interesse internazionale. Avevamo corrispondenti in America e in Giappone, oltre che in tutta Europa». E dopo toccò a “Linea Sud”? «Sì, con Stelio Maria Martini, e poi con Luciano Caruso. I contributi di Martini furono tanto notevoli che io deposi le armi. Sì, certo, organizzavo… era una rivista che usciva sui debiti, a fare i debiti era Tina, mia moglie…». Tina Persico, compagna di Mario fin da quando aveva quattordici anni, è stata ed è una di quelle fidate e discrete presenze indispensabili alla vita sociale e alla sopravvivenza psicologica degli artisti, soprattutto se di carattere severo e solitario come Mario. È lei che tiene i contatti con gli amici, i critici, i poeti; è lei che organizza improvvisate cene che sono divenute leggendarie. Da poco ha raccolto le sue ricette, originali e tradizionali insieme, in un agile volumetto, “La tavolozza imbandita”, al quale hanno partecipato artisti e poeti come Lea Vergine e Edoardo Sanguineti, Stelio Maria Martini e Lucio Del Pezzo, Eleonora Puntillo, Antonio Casagrande, Mimmo Paladino e molti altri. Persico è noto per le sue opere-strutture aperte, che chiamò «praticabili», poiché il fruitore poteva interagire con esse, ampliandole o modificandole. Ha collaborato a lungo con Edoardo Sanguineti fin da quando misero in scena l’opera “Laborintus II” su musiche di Luciano Berio alla Scala, nel 1973. Più recentemente ha firmato con Sanguineti, Dorfles e Pirella il “Manifesto dell’Antilibro”, nel 2003 ha illustrato un “Omaggio a Goethe” e nel 2004, un “Omaggio a Shakespeare, nove sonetti”, tradotti da Sanguineti. Persico non si nasconde les liaisons dangereuses che legano l’arte ai massmedia, il museo al mercato e prova un vago rammarico per la dimenticanza nella quale la città ha spinto gli artisti napoletani. Nella prefazione all’edizione della “Lunga Lettera da Parigi” di Guido Biasi ha scritto: «Il tempo scorre sviluppando e imponendo le sue forme secondo una logica determinata da poteri, eventi, necessità con cui non sempre siamo in sintonia. Ed eccoci automaticamente, da un giorno all’altro, trasferiti nell’ombra, nel più assoluto silenzio, considerati, dall’ingranaggio del tempo, improduttivi, anacronistici e, forse, fastidiosi». Eppure, non c’è nessun sentimento di sconfitta. Mentre parliamo, egli lavora ad un grande “NO”, un’opera che riprende e riattualizza «la strategia del rifiuto», muovendola con quelle antenne tentacolari che Mario ha utilizzato ed utilizza per indicare una realtà incrinata, visibile solo come insieme di parti disarmoniche e irrelate. Il “NO” diviene così lo specchio che mostra il rifiuto dell’ovvio e, nello stesso tempo, indica la via (le vie) per una possibile riflessione critica.
(07 ottobre 2007)



Mario Persico
Napoli, Castel dell'Ovo
18 Ottobre 2007 - 14 Novembre 2007


Dedicare oggi una mostra antologica a Mario Persico significa non solo rendere omaggio ad uno dei più interessanti pittori napoletani, ma anche riflettere sulla storia artistica di Napoli. L'esposizione, curata da Mario Franco, è promossa dalla Regione Campania e dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e organizzata da CIVITA. Negli anni Cinquanta Persico, con Mario Colucci, Lucio Del Pezzo, Guido Biasi, fece parte del gruppo di artisti che aderì alla corrente pittorica detta nucleare, che aveva il suo maggior rappresentante nel milanese Enrico Baj. Dal 1959 al 1963 è stato il redattore della rivista "Documento Sud", un foglio di tendenza che stabilì tra la città di Napoli ed il mondo dell'arte una fitta serie di rapporti internazionali (con il gruppo Phases dell'artista e critico Edouard Jaguer, animatore del Surrealismo rivoluzionario, con lo SPUR di Monaco dello scultore Lothar Fischer che confluirà nell'Internationale Situationniste e il BOA di Buenos Aires). Dal 1963 Persico cominciò un percorso autonomo, una sorta di ritorno alla figurazione che tesaurizzava le tecniche precedenti verso opere-strutture aperte, che chiamò "praticabili", poiché il fruitore poteva interagire con esse, ampliandole o modificandole. Il '63 segna anche la ripresa dell'attività editoriale con la rivista "Linea Sud". Su questa rivista Persico pubblica anche alcune poesie che saranno raccolte e ristampate dall'editore Guanda. Nel 1966 illustra la traduzione italiana di Luciano Caruso dell'opera patafisica "Ubu Cocu" di Alfred Jarry. In Persico l'interesse per le teorie patafisiche (una sorta di ironico ritorno a quanto di esoterico rimane nel pensiero occidentale, secondo l'insegnamento di Alfred Jarry, demone dell'assurdo e della derisione) è una costante della sua opera. Fin dagli anni cinquanta Mario Persico frequenta e collabora con Edoardo Sanguineti. Tra i momenti più interessanti di questa collaborazione si possono annoverare le scenografie e i costumi per l'opera Laborintus II di Sanguineti su musiche di Luciano Berio, andata in scena alla Scala nel 1973. Più recentemente ha firmato con Sanguineti, Dorfles e Pirella il "Manifesto dell'Antilibro" ed ha realizzato nel 2001, alla Biennale di Venezia, due "Bandiere della Pace" impagina nei modi della "poesia visiva" un testo di Sanguineti. Ancora nel 2003 ha illustrato un "Omaggio a Goethe" e nel 2004, un "Omaggio a Shakespeare, nove sonetti", con traduzioni di Sanguineti. Dal 2001 è Rettore Magnifico dell'Istituto patafisico partenopeo e stampa "Patapart" , una delle più belle, colorate - e difficili da sfogliare - riviste d'arte contemporanea. La mostra Accanto alla tradizionale esposizione di opere - circa un centinaio di opere dipinte più disegni e strutture mobili tridimensionali - la mostra intende offrire al visitatore una serie di supporti e di documenti in grado di disegnare il contesto storico-esistenziale delle opere stesse e dell' artista che le ha concepite. Apposite bacheche esporranno, quindi, documenti testimoniali, riviste, manifesti collettivi di gruppi e di movimenti che, staccandosi dalla vieta tradizione oleografico-paesaggistica ottocentesca, si sono avvicinati alle problematiche dell'arte contemporanea con lo scopo di ritrovare nella città di Napoli la sua non sopita natura aperta e cosmopolita. Allo stesso modo alcuni pannelli esplicativi forniranno notizie su tutte quelle esperienze che hanno contribuito all'evolversi dell'arte a Napoli, comprendendo le connessioni tra il lavoro creativo e l'ambiente circostante, ovvero quella rete di relazioni sociali e culturali che qualificano il cosiddetto tessuto civile della città.

 



Variazioni sul tema

PAESAGGIO DELL’OCCHIO
Da una mostra antologica di Arti Visive di Mario Persico
Castel dell’Ovo - Napoli 2007

Castel dell’Ovo - Napoli 2007
Devo aver digitato il tasto matto ed ecco, istantanea, in bell’effetto flashbang, l’immancabile scossa tellurica (con qualche approssimazione) nella scatola cranica. Una carezza! E’ questo che vuoi? Affilare accordi crudissimi su questa bocca spalancata di vulcano e senza reti di protezione? Mi vuoi apprendista di quali strategie speziate di cromìe sonore e striature d’ascia nel blu? Questo Paesaggio dell’occhio è polvere da sparo e inchiostri stregati, grida d’uccelli e bestie di cui s’è perso il nome. Che in un niente si espande a tuttocampo e come in ologramma scatta in avanti – basilisco enorme – nell’occhio. Occhio enorme, che continua a dilatarsi, che entra ed esce dal quadro. Ne focalizzo l’insieme ondeggiando sui contorni, poi penetro nel nucleo, no, meglio: ne vengo aspirata, come dentro una catena primordiale che mena dritta all’ignoto (non senza aver lasciato lembi di pelle e squame tutt’intorno).
Dove sei, Perturbatore dei Segni, da quale miniera di fosforo e zolfo ci spedisci la tua risata? Sono pronta, sì pronta, a mutare pelle, saltellando recinti spinati con queste ali che si spezzano mentre rispuntano; anzi da qui, se ti avvicini, ti narro una storia, oppure sei tu, M.* che me la detti direttamente nell’occhio: una strana fiaba crudele scheggiata ai bordi, di colore plumbeo – sanguigno, pessappoco, ma prima… devo strapparmi da sola quest’uncino che mi hai ficcato in gola. Lo userò come amo senz’esca su di te! (beh, le passioni, ti dirò, sono un sapere condiviso…)

Ecco, ora mi arrampico, mi vedo omuncolo di gesso o di lattice nel grande tuorlo perlaceo (o ne discendo?) figurina da niente caduta nella tela di ragno, oppure, ma certo: larva gelatinosa, escreta dall’occhio – cosmo, da cui verrà fuori, forse, (in quale tempo?) l’individuo che mi somiglia. Il filo, mi sa, il filo a cui mi aggrappo, è stata una geniale invenzione, brevettata tra un gradino evolutivo e
l’altro, decisa a confiscare un caos galleggiante nel cobalto acceso attorno all’ostrica gigante. Ne faccio un’altalena, se mi va, e posso pure allungarlo in discesa, questo filo memore o dismemore, non so. In realtà mi ci aggroviglio, con un viacard scaduto in ogni tasca assieme ad altri consimili nella specie e non, scendendo sempre più a fondo in questo occhio – caverna di pura emozione, e dentro esplosa come un ordigno. Ma poi se guardi, occhio non è: è uno spasmo labirintico composto da miriadi di forme in mutazione impigliate, una dopo l’altra, tra le branchie e pinne del pesce – occhio, e sbattute giù a colpi di coda per finire come schizzi di acido, proprio qui, sulle pareti. Una folla! Una folla anfibia dai sensi bucati che una danza infernale disarticola all’infinito, il cui solo riscatto si misura in forza – colore e si pesa in morsure negli occhi.

E noi lì, danzanti e sfigati, tra i gas saturi che i nostri corpi producono, ignari del limite, teatranti irriducibili di questo teatro imaginario, di questa scapola di Sud sconsacrato, ma con una manciata di grani fatati nel ventre. (Che sia qualche grano soltanto, non ancora secco, tutto ciò che decide?)
Il resto, dirai (senza dirmelo) è disconnessione in corso sintonizzato a tempo e in fuga sullo zero… ( siamo o non siamo, per privilegio degli dei, invitati speciali alla Grande Festa di Scatenamento del Fuoco e dell’Acqua che si terrà, a due centimetri dalla nostra testa, in data da stabilirsi?)
Ma tu, a chi darai in consegna la mappa labirintica dove scrivi e cancelli le formule di tutte le dissonanti combinazioni e ontaminazioni? Posso raggiungerti con lo sguardo nella fucina delle Invenzioni mentre trasformi di sostanza idea e materia, mentre non smetti di pestare pigmenti e detriti di storia nel mortaio sfondato, e sillabari marciti e cifre algebriche a parodia d’una metafora della fine che è già tutta vissuta in fondo all’occhio; ed ora che l’hai ingoiata puoi risputarla: la fine è sempre un passo più in là. Solo un passo, un tratto breve che può essere tutto. Tutto ciò che ce ne distanzia, intanto. Ma flessibile, che prende ad animarsi in variazioni complesse, in accordi pulsati sulla rétina, un paesaggio… Un paesaggio dell’occhio. Questo paesaggio, sbarrato a qualunque ovvietà di racconto, può essere solo quello che è: SCANDALO DELLA VISIONE NUDA! Essenza orgiastica e intelligenza a blocchi. Visione!
Basta saperlo, mi dico: essa non ti verrà annunciata, ti è già addosso! E adesso sai che in qualche modo, sì, in qualche modo, ne fai parte: ne sei – ne siamo – sequestrati dentro: siamo, noialtri, materia guardata che vede, per rifrazione ottica, se stessa. E quello che vediamo di noi è molto più di quanto sappiamo. Mentre l’occhio – pesce ammicca, sbattendo la coda, spostandosi da una parete all’altra col suo carico d’immagini già vissute, già dipinte, e sempre di là da venire. Provvisorie, magari, ma già fissate (nella mente dell’occhio) e cresciute a dismisura in una spirale apparentemente senza sbocchi, ma che ha i suoi ingressi e le sue misteriose uscite. Il traffico talvolta si congestiona ma poi da sé si sgarbuglia; nodo o filo che sia, filo perso, filo ritrovato e talvolta, appena esile bava di ragno.
Che sia, insomma, tentare di sciogliere, sempre daccapo, lo stesso cappio? Per poter assumere da svegli, così appesi, la posizione reale del sogno; ma poi sospetto che sia l’inverso: per riassumere in ogni qui, in ogni adesso, quella che ci fa veri sognandoci dentro. Dimmi di no!
Marisa Papa Ruggiero

 


Il grande successo a Castel dell'Ovo
della Mostra Antologica di
Mario Persico
“NO”
di Maria Carla Tartarone

Visitata a Capodimonte la sala degli Artisti Napoletani, in cui si conserva anche un’opera di Mario Persico, scelta fra gli oggetti ammiccanti, desidero ricordare la recente mostra napoletana a lui dedicata.
Con grande successo, infatti, dal 18 ottobre al 14 novembre 2007 sono stati raccolti in mostra centotrenta pezzi della cospicua produzione di Mario Persico nelle sale del Castel dell'Ovo, ad indicare i momenti più significativi della ricerca artistica del Maestro nella formazione culturale dell'ambiente artistico napoletano, italiano ed europeo. La rassegna era stata promossa dalla Regione Campania e dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, organizzata da Civita, a cura di Mario Franco.
Persico nasce a Napoli nel 1930 e già dal '49 partecipa a mostre collettive; ha un maestro stimolante in Emilio Notte, dalle matrici dada e surrealiste, alla Accademia Napoletana. Nei primi anni Cinquanta, Persico è tra i firmatari, con Mario Colucci, Guido Biasi e Lucio del Pezzo, del Manifesto dell'Arte Nucleare di Enrico Bay, movimento che, nato dall'Informale, si contrappone al Neorealismo. I suoi adepti concepiscono l'avanguardia in chiave marxista ed il Nostro vi aderisce con convinzione.
A Castel dell'Ovo, in ordine cronologico nelle prime sale, tra le tante opere possiamo ammirare “Gioia verde” del '55, “Paesaggio dell'occhio” del '56, “Paesaggio per la mia ragazza”, olio e tecniche miste del '57, ”Rinoceronte col ricordo dell'uomo” del '59, “Dialogo sotto l'astro” del '60, “Personaggio con un cadavere nella testa” anche del '60, in cui nonostante le motivazioni differenti, pervade una gioia coloristica che entusiasma.
Alla fine degli anni Cinquanta Persico partecipa alla formazione del “Gruppo 58” insieme a Guido Biasi, Lucio del Pezzo, Sergio Fergola e Luigi Castellano (Luca), cui segue l'uscita di Documento Sud. Le discussioni su l' Arte lo portano a riflettere sul mondo degli oggetti che già Proust, Kafka, Heidegger avevano considerati animati, partecipi della vita dell'uomo, rivelatori dei suoi pensieri inquietanti. Persico considera dunque la possibilità che gli oggetti manifestino la loro aggressività nascosta, castrata, nel metamorfismo. Comincia perciò a realizzare gli “oggetti ammiccanti” (una di queste opere è a Capodimonte) e nel '65 le prime “opere praticabili“ dal fruitore: opere tridimensionali allungabili, in legno a colori vivaci e altri materiali, spesso dal carattere ludico e infantile (scacchiere, roulette, giochi dell'oca, percorsi ad ostacoli) offrendo soluzioni fantastiche ai problemi dell'arte perseguendo gli ideali della Patafisica, scienza delle soluzioni immaginarie, appunto, secondo l'insegnamento di Alfred Jarry.


Nel 1968 “la componente erotica e quella del gioco, occultanti ragioni e intenti più severi”, inducono Mario Persico a progettare per la galleria “Senatore” a Stuttgart “Segnali Anamorfici”. Appartengono agli stessi stimoli le “Gru Erotogaie” di varia grandezza realizzate nello stesso '68, anch'esse in mostra a Napoli. Nella stessa Stuttgart, nel 1970, presenta con successo la sua prima Mostra Antologica.
Contemporaneamente diventano urgenti le riflessioni di carattere politico-sociale, conseguenti le vicende mondiali degli anni delle stragi in Tailandia, in Indonesia, nella Repubblica Dominicana. Persico riconosce l'impotenza di essere, con il suo lavoro, parte attiva nel processo politico di democratizzazione, allora teorizzato dalla sinistra estrema, ed affida una delega belligerante agli oggetti che va realizzando, “ciò che non può essere detto deve tuttavia farsi sentire” afferma e costruisce perciò prima le “Sedie dell'isteria”, poi le “Sedie della tortura” (1971, 1974, 1976) immedesimandosi nella tragedia delle popolazioni straziate, auspicando che l'oggetto “senza valore documentativo” nella metamorfosi diventi “altro”, scuota le coscienze.
In mostra sono “La seconda sedia dell'Isteria” del '72 e la “Sedia della tortura” del '74, già apparsa nel Palazzo Reale di Napoli nella mostra Napoliscultura del dicembre-gennaio 1988-89.
La rassegna è documentata da pubblicazioni, fotografie, ed anche da un Video, che percorrono tutta la costruzione della ricerca di Persico fino alla realizzazione dell'ultima opera “No”.
Tornando all'ordine cronologico delle opere, ricordiamo che nel 1973 l'Artista realizza due scenografie per il “Labirintus II” di Luciano Berio e per il “Combattimento di Tancredi e Clorinda” di Monteverdi. Poi si dedica alle “Tavole della memoria” negli anni Settanta fino all'Ottanta. Ma contemporaneamente partecipa anche a ricerche linguistiche di ambito concettuale collaborando al “Manifesto dell'Antilibro” di cui furono firmatari nel 1997 Antonello Cassan (fondatore di Liberodiscrivere.it), Sanguineti e Dorfles. Nel 2001 viene nominato Rettore dell'Istituto Patafisico Partenopeo (esistono a Parigi, a Londra e a Milano Istituti Patafisici che si ispirano all'opera di Jarry, pubblicata postuma nel 1911, “Gesta e opinioni del dottor Faustroll, Patafisico”, e raccolgono letterati, artisti e studiosi di fama). Nel 2002 realizza il primo numero della rivista “Il Patapart” di cui sono in mostra otto tavole.
Del 1980 è esposta l'opera “Memoria e evento indecifrabile” (tecnica mista su tela del 1980); di poco più tardi sono “I funerali di Ornans” di Courbet (collage su tela, dall'83 al 95), “Courbet ed altre cose” (olio, tempera e collage su tela del 1983); del 1988 è “Breve storia della fine tragica di un amatore di volatili”; “La vedova e i suoi pretendenti campagnoli” (tecnica mista su legno del 1991); e ancora “Noi percorriamo l'ombra delle cose” (del 1996, tecnica mista su legno).
Infine l'opera nuova che dà il titolo alla Mostra “No” (del 2007, opera estensibile su legno, collage con giornali e pittura acrilica). Persico qui, attraverso un nuovo “oggetto praticabile”, riprende “la strategia del rifiuto”, di nuovo un oggetto metaforico a significare il dissenso da un'arte prodotto economico delirante e l'invito a ritrovare la via del rigore e della riflessione critica.