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Sab, Dic

Vitagliano Salvatore

Nato a San Martino Valle Caudina nel 1950, all'età di sette anni si trasferisce con la famiglia a Napoli. Dopo aver conseguito il diploma dell'Istituto d'Arte, si iscrive al corso di Scultura presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli. Le esperienze pittoriche maturate in questi anni rivelano, pur nelle asprezze della sua giovanile età, una personalità già definita.

Vitagliano, in possesso di mezzi espressivi ecce­zionalmente rigorosi e stilisticamente validi, dà forma ad una pittu­ra che si muove tra il realismo critico e la visionarietà metafisica e surreale, in cui “i simboli che egli adopera non sono mai mutati dal­l'occasionalità formalistica, ma sono come calati nella storia e nel sangue della gente che ci circonda e che vive ossessionata dai dubbi e dai problemi della società” (Paolo Ricci).

Incline alla riservatezza e alla solitudine, ma nello stesso tempo attento a tutto ciò che avviene nel campo dell'arte, l'artista, lungo tutto l'arco degli anni Settanta, partecipa attivamente a molte delle iniziative che hanno caratterizza­to il vivace clima artistico napoletano di quegli anni. Per Vitagliano l'esperien­za è il dato fondamentale della conoscenza attraverso la quale è possibile giun­gere a cogliere il segreto più intimo e recondito della vita e partecipare di quel­lo spirito profondo che anima tutte le cose del mondo. Il decennio cadenzato da alcune mostre personali e collettive, che suscitano l'interesse dei critici e del pubblico si chiude con una personale alla Galleria Lo Spazio nel 1978. Tra le varie opere esposte la Dafne, dal volto senza lineamenti e costellata di ciuffi d'erba e fronde leggere, assume un valore emblematico dell'intero percorso artistico di Vitagliano, fino alle più recenti esperienze, nel quale la metamorfo­si è simbolo e metafora visiva di un modo di intendere la vita ed i suoi profon­di processi di trasformazione. In questo senso assumono valore e significato i riferimenti culturali, sia antichi che contemporanei, intesi dall'artista come recupero di tracce di una presenza umana, che di volta in volta riemergono, quali segnali di una totalità in cui passato e presente, antico e moderno, l'uno e il molteplice si fondono in un unicum eterno.

La consapevolezza dell'appartenenza al tutto porta l'artista, a partire dagli anni Ottanta, a realizzare una serie di esperienze artistiche diversificate che hanno come comune denominatore la ricerca di un'espressività volta. "verso il superamento degli aggressivi e laceranti sentimenti individualistici ed aperta su un orizzonte in cui il sentimento della nostra esistenza s'accordi armoniosa­mente con quello della vita universale" (Vitaliano Corbi). Dalle tele in cui pre­vale l'azzurro in tutte le sfumature all'Uovo alla Casa di montagna all'Api-ticre, opera in bronzo e materiali di recupero che reca in sè la memoria della scultura egizia del Bue Apis di Benevento, è una costante e decisa ricerca da parte del­l'artista di percepire e fermare il sentimento profondo della materiaa al di là della sua forma apparente e visibile. Sempre più per Vitagliano la pratica arti­stica, che passa anche attraverso la manipolazione della materia (sia essa creta, legno o qualsiasi materia che occasionalmente gli si presenta), è vissuta come rito, “procedimento iniziatico, cerimonia che affonda le sue radici in una cultu­ra arcaica, dove il fantastico si cela tra le pieghe del reale, dove ciò che appare lascia intuire l'esistenza di mondi complessi e nascosti” (Giuliana Videtta).

Nell'installazione che vede trasformare un pavimento ricoperto di das e rive­stito di foglie d'oro a simboleggiare il mare o in quella che trasforma una stan­za in una sorta di cattedrale dai vetri dipinti e dal pavimento ricoperto di terra con al centro un cerchio di pietre, appare evidente il senso di una spiritualità che da latente assume caratteri sempre più chiari ed evidenti. L'arte, in tutte le sue manifestazioni, dalla pittura alla musica al teatro, per il quale Vitagliano elabora alcuni interventi artistici insieme con Antonio Neiwiller e Mario Martone, è l'incontro con fl divino, in cui si annulla il perenne conflitto degli opposti, vita-morte, bello-brutto, vero-falso, per dar vita ad una realtà altra permeata di una bellezza pura, essenziale ed assoluta, nella quale l'uno e il molteplice si identificano. Nell'Icona mistica, assemblaggio di circa quattrocen­to piccole tele dipinte, emblemi inventati, simboli riconoscibili e momenti di pura pittura campeggiano attorno ad un centro ideale, costituito dal volto di "Zao", entità esoterica, impertubabile e perciò inquietante, alter ego dell'artista. "Ho voluto creare J dichiara l'artista in una sua intervista - un'immagine misti­ca raffigurante tutti i sincretismi religiosi". Il misticismo di Vitagliano passa attraverso la via della meditazione, divenuta per lui scelta esistenziale, un modo di essere nel mondo, un atteggiamento che lo vede testimone e parteci­pe del divenire delle cose e della vita. I ritratti, un tema da sempre caro all'arti­sta e che ritorna frequente nell'ultima produzione, sono un riflesso di questo suo modo di essere. Involucri che prendono forma dall'anima in essi celata e che l'artista, facendo appello alla sua ormai provata esperienza e alla sua natu­rale capacità di "sentire" oltre il silenzio, cerca di portare alla luce. Più che mai in queste opere si manifesta in tutta la sua purezza quel sentimento di bellez­za, che fuori dai comuni canoni estetici, è espressione vera e compiuta dell'as­soluto capace di dar vita ad una materia "altrimenti opaca".

Aurora Spinosa