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Gio, Nov

Crispo Gianni - Critica

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I MOSTRI SIAMO NOI

Angelo Calabrese

Erectus, aderentissimo all' edenica mela sulla regolamentare ara dell' amore concupiscente, fanno fede i rituali tre gradini, il voglioso serpente in estasi signoreggia il ben saldo pomo, che arrossisce e mal cela il "natural difetto" dell' opera del baco.
Da esperto, posso solo affermare che quel frutto proibito, tentato/accondiscendente non è un' annurca.
Le mele delle nostre parti sono toste: esigono che con carezzevoli giri l'umana cura le esponga al sole; quasi del tutto ignorano i serpenti: hanno a disdegno le lunghe strisce di variopinte snodate bisce.
Che peccato non aver previsto tanta castità d'origine controllata nelle felici bibliche giornate delle vite appena create.
Al dotto e acuto interprete non difetteranno le ragioni delle multiple finestre metaforiche, che fanno ritrovare archetipi di genesi mentre in evoluzione s'infuturano, allusione all' albero della scienza del bene/male, della mela marcia che semi di peccato propone. Non manca neppure la pensosa nota sulle sorti del legno nelle mani dell' abile inventore che non solo trova, dal latino "invenio", ma scopre anche, in virtù della sua viva fantasia creativa, le fattezze mirabili e globali di un' esistenza naturale, partendo da un unico, minimo reperto.
Nelle sue fughe di pensieri che con l'ironia del disinganno vagano all'ancestro, verificando che nulla c'è di nuovo sotto il sole, almeno per la dolorosa legge in cui si conferma la quotidiana pena esistenziale, Giovanni Crispo, paleontologo dell' arte, dalle schegge residue dei rami che alludono a forme animali d'epoche remote, riporta alla luce della pienezza vitale prodigi di esistenze perdute alla memoria.
L’artista opera su di un prelievo: il reperto che all'incontro ha innescato il dialogo destinato a perdurare nel tempo della ri-costruzione esige l'amorosa cura del viaggiatore nel tempo della meraviglia.
Convergono alla ricerca le istanze della pittura, della scultura, dei naturali equilibri armonici delle leggi biologiche che destinano nel contesto della catena alimentare le creature della terra, dell' aria, dell' acqua: la fantasia ama il prodigio che transita dall' energia alla forma in metamorfosi fino alle estreme sembianze dell' orma e al ritorno all' energia.
Prima ancora di accennare ai percorsi dell' arte di Giovanni Crispo, presente sulla scena espositiva non solo nazionale, dagli ultimi anni Cinquanta e sempre con la coerenza di un' evoluzione attenta ad investigare nell' oggettività del reperto le istanze socio-culturali-psicologiche, le disparità intensificate tra valori umani e potere della tecnologia e della scienza nel dominio della comunicazione, è opportuno chiarire il senso della ricerca che giustifica il prodigio di natura e condanna la disumanità. Monstrum, in latino equivale a prodigio, evento portentoso in cui s'avverte, a volte, la presenza del divino. Nell' accezione corrente, per noi, il mostro è una creatura che suscita orrore e stupore per le evidenti anomalie risultanti dalla contaminazione di elementi che isolatamente riconosciamo connotativi di una determinata esistenza biologica.
Mostruosa è quindi la deformità, che suscita orrore, e la natura metamorfica delle creature viventi a chi la ritrova nei connotati di tempi remotissimi. Una lucertola non potrebbe mai riconoscersi nella diretta discendenza da un dinosauro, nè mai la natura umana accetterebbe razionalmente di derivare da quegli antenati che tra stupore e ferocia affinavano l'istinto di conservazione. Non bisogna dimenticare che 1'arte, prima che si rappresentasse in chiave tautologica e narcisistica, nella pseudo libertà che spetta al postumano dei cibernetici e dei mutanti nel nomadismo della globalizzazione abortita prima ancora che potesse approdare qualche sperata positività, si chiariva come energia solare trasferita in energia sociale. Lartista forte universalizzava la comunicazione coniugando sapiente mestiere con profondo sentire, valori estetici ed eticità. Tutte le arti, dal momento che le Muse concedono il dono d'illuminarsi d'emozioni, elevarle a sentimento e trasferirle in immagini, finiscono con l'essere tributarie, per vari versi del vasto mare delle arti visive che interpretano la vita, valore assoluto, nelle modificazioni dello spazio di eventi comunque destinati alle crisi che determinano le svolte epocali.

Nel senso della vita-valore si giustificano come valori tutti gli apporti che conferiscono dignità, qualità, senso al transito esistenziale. Letica avvalora la vita; l'estetica, proprio perché "est-etica", ci piace leggerla cosi, assolve la funzione di propositiva struttura di comunicazione amplifica gli orizzonti dei rapporti relazionali. Ri-fonda il dialogo, il colloquio, il dibattito consente di apprendere e insegnare codici interpretativi dei più complessi fenomeni di modificazione dei processi vitali nell' evoluzione della storia che conferma il "per sempre" della vita come regola e desiderio.
Giovanni Crispo, artista pensoso, che fa arte sapendo come fare, vale a dire nella consapevolezza del mestiere attivato con le risorse tecniche, atte a trasferire nell'immaginario la stimolante rapidità creativa che rende in pienezza tattile il senso meraviglioso dello scabro e dell' essenziale, anima le sue forme fantastiche procedendo da un residuo di ramo sottratto alla nullificazione.
Vitalizza prodigi d'ancestro, "mostri" nel senso magico del termine che allude alle meraviglie della natura e dell'umana fantasia. Per chi invece cogliesse solo "l'orrendo": in quell'istintività che si giustifica nelle ragioni della conservazione della vita, propria e della specie, l'artista ha una risposta incontestabile "i mostri siamo noi".
Ed è nel vero, perché dalla faticosa conquista dell'armonia e dei canoni che la identificano negli equilibri formali, nulla è cambiato per l'uomo feroce contro la natura e ancor più nei confronti dei suoi simili. I mostri siamo noi perchè sappiamo disputare di sacralità degli umani valori, di sapienza, di scienza, di coscienza, di progresso negli orizzonti più vasti e ci comportiamo più ferocemente delle mitologiche mostruosità tramandate dal mito.
La storia e la cronaca che a quella fa confluire i suoi rivoli, ci confermano mostri ostinatamente persuasi a surclassarsi in eccessi di ferocia. Nel nostro tempo dell'incertezza che sa il mondo complesso, impredicibile, dominato dalle medesime leggi imperenti nel macrocosmo e nel microcosmo precariamente soggetti ai rischi dell'imminenza e del collasso i "mostri" di Crispo sono epifanie di purezza vitale nel mistero della vita terrena. Il loro è puro istinto vitale avvertito nell' anelito al volo, nello scatto serpentino, nella decisione di atterrire per fronteggiare altro terrore.

In nome di quella purezza innocente, naturale, misteriosamente finalizzata a resistere è affidata alle possibilità del destino della specie comunque a rischio di estinzione, l'artista che scolpisce e dipinge secondo la legge "del porre" dell' apporre cioè al nucleo-reperto gli elementi che determinano un fantastico corpus animate, di pura invenzione, comunque allusiva in qualche parte alla memoria zoologica, propone i suoi incontri con il mistero della fisicità istintiva.Qual' è la passione animale che anima le sue funzioni vitali? Agostino ci consente di rispondere, Prelevando da altra materia di discussione e da un contesto per nulla pertinente al nostro argomento, un espressione perfettamente calzante. Chiariva infatti: "Se nessuno me lo domanda, so cos'è; ma se me lo domandano e tento di spiegare non lo so più" E' importante proporre suggestioni prodigiose conformate alla naturalità senza tempo, ricordando che quel che sarà è sempre stato e che ogni incontro con la pura istintività animale potrebbe essere accaduto nel tempo remotissimo come in quello che s'infutura a infinita distanza. Favoleggiando di prodigi, mai mostruosi quanto quelli praticati dalla disumanità che cresce a dismisura nella globalità dell'indifferenza, Crispo propone vitalità senza denominazione. Il suo messaggio che s'illumina d'ironia, prendendo le distanze dalle tipicità ludiche, ricostruisce forme animali per dirne l'energia che le domina in tutte le parti del corpo. Non c'è rischio di atrofizzazione: tutto quello che la tattilità visiva percepisce è vibratile, in moto, in transito: le funzioni vitali sono proprio quelle garantite dagli artigli, dai denti, dalle armi necessarie per l'adattamento all'ambiente.

Si tratta di espressività energetica tradotta nella consistenza di materiali giustapposti per la resa di una vitalità animalizzata. La traduzione in consistenza è prodigiosa dato che interferiscono memoria, invenzione e fantasia: armoniosamente concorrono all' emozionante percezione dell'innocenza primitiva dotata degli strumenti per vivere e sopravvivere che solo a quella specie appartengono.
Giovanni Crispo ha raffinato la sua natura demiurgica: gli basta incontrare un seme d'empatica attrazione, una scheggia di rinsecchimento ligneo, per attirare il suo pensiero creativo. Lo affascina la tensione all'animalità presente nel reperto: conferma che non c'è soluzione di continuità tra i regni della natura che non fa salti e, pertanto tra una decisa connotazione e l'altra nelle varie combinazioni degli elementi c'è sempre qualcosa che resta di quella che la precede e qualcosa che anticipa quella che segue. La lunga dimestichezza con i più vari materiali ha affinato il suo istinto percettiivo ritrova d'impatto la vita animale negli estremi avanzi di quella vegetale: un rametto contorto può avere priorità connotativa tra gli altri elementi sempre fortemente espressivi, o confondersi tra gli apporti che la libertà fantastica utilizza per il preludio di un balzo in alto, ce lo confermano gli occhi, o per un' ostentazione di bellezza che si pavoneggia in corteggiamento.
Nell'opera di Crispo ci sono creature di fiera animalità, draghi dimezzati, lottatori poderosi, protagonisti di giochi mimetici, prodigi di natura astuti, sagaci. Dalle amorose mani del loro creatore hanno appreso la tenerezza: da quella nascono le ragioni dei colori, le creste ossee di vitale difesa, le zanne, i denti aguzzi e poderosi perché non sfugga la preda, le zampe agili o di salda consistenza per fronteggiare i pericoli.
Crispo colloquia con le sue creature con una sorta di pietas consapevole che altri mostrì, che la ragione rende più feroci, attentano alla loro esistenza; intanto la partita è aperta.
Il messaggio è chiaro ed eloquente. Non si discosta da quello iniziale che nei recuperi di stoffe interveniva ornando orditi e trame con la poesia del quotidiano della denuncia sociale, della passione d'esistere. Nei dipinti di qualche tempo fa c'erano tralci, tronchi, rami, stagioni di tenere fioriture e colori di piena solarità. C'erano nostalgie di colloqui intensi con la naturale fisicità. Nè mancava quell'ironia che avvalorava la portata dello spirito ribelle, indocile all'ipocrisia all' ignoranza fanatica, alla gretta superstizione. Resta nella memoria la teca sacello che custodisce a maggior gloria una mela "femmina" la cui sessualità è serrata da un vistoso catenaccio. In un riquadro inferiore, Cupido, alato e armato d'arco, guarda stupito quell'incongruenza che vanifica tutte le sue saette in virtù delle quali splende la primavera lucreziana. Erano tempi di scelte di campo, tempi in cui si sognavano misure umane.
Il postumano propone belve; separa l'eccesso dell'economia e del benessere dall'estrema miseria: si giustifica pertanto e si avvalora la sapienza creativa di un artista se agli indiscussi valori estetici aggiunge quelli della vigile presenza che senza equivoci ammonisce.

 


Piero Girace

Gianni Crispo avrebbe tanto da dire della sua vita, delle sue avventure (è stato per alcuni anni in Africa), delle sue esperienze, delle sue emozioni, dei suoi stupori; ed invece quando parla di sè o della sua arte" Gianni Crispo, si limita a poche frasi brevi, sotto le quali si nasconde un carattere virile e meditativo, "Uscito giovanissimo dall'Accademia di Belle Arti di Napoli, e propriamente dalla scuola di Vincenzo Ciardo, già esperto del mestiere e della grammatica pittorica ha partecipato e spesso con successo a numerose mostre nazionali, dove ha avuto agio di farsi notare per certa sua spregiudicatezza nell'affrontare i "motivi" con ardite sintesi formali e sonorità d'accenti coloristici. Poi il suo lungo soggiorno africano, se l'ha isolato dalle varie competizioni artistiche d'Italia, gli ha non poco giovato consentendogli un'insolita esperienza. Gianni Crispo è un pittore tra i più dotati della giovanissima generazione, in una sconcertante fase di fermentazione, al quale sarà "forse necessario un maggiore controllo delle emozioni e delle sensazioni per il raggiungimento di una maggiore coerenza stilistica, ma, senza dubbio, egli è un artista su cui potremo contare."
(RAI Radiotelevisione Italiana, centro di produzione Radio TV-Napoli Conversazione di Piero Girace trasmessa nel Corriere della Campania del 24 febbraio 1970, Incontro con gli artisti).

 



Salvatore di Bartolomeo

Gianni Crispo è uno di quegli artisti napoletani della penultima generazione che operano nell'ambito di una pittura figurale cosiddetta di trasfigurazione.
Formatosi alla scuola di Vincenzo Ciardo all'Accademia di Belle Arti, da tempo è riuscito a caratterizzare il suo linguaggio con due dati pittorici che stanno alla base di una espressione artistica decisamente disancorata dai valori veristici tradizionali. Il primo (che ha una radice ben identificabile) lo ha portato ad un approfondimento nella ricerca della fusione ottica del colore; mentre il secondo agisce sulla forza sensoriale che lo estranea da certe situazioni ambientali, per il fascino e l'interesse che ha sempre avuto per l'esotismo. Vigorosità, slancio ed esaltazione dei valori timbri ci lo portano a certi intenti normativi già di forza ciardiana. A questa forza Crispo ha aggiunto quella spinta giovanile che gli è propria. I lunghi viaggi e gli anni di permanenza in Sud Africa, hanno operato in lui una sostanziale trasformazione che agisce sul fattore colore-spazio-forma.

Ed è questa la vera realtà pittorica di Gianni Crispo.
Egli non cerca di riproporre i particolari o la narrazione di civiltà indigene a lui ben note; ma è attraverso il pensiero, che si ricollega ad esse, e in esse trova lo stimolo che lo spinge a trasfigurare gli aspetti del vero per un'acquisizione interpretativa ed a fondere in una dimensione fantastica realtà e pensiero. Ecco che l'opera pittorica di Crispo, pur rimanendo legata strutturalmente nella sua globalità, è, e resta, essenzialmente, un intarsio di colori. Pastelloso, libero a volte aggressivo e pacato nella sua violenza. La pennellata lineare, aperta e geometrizzante penetra nel tessuto cromatico con note vibranti che suscitano particolari emozioni. Il fruitore si trova, così al cospetto di visioni tipicamente mediterranee; ma rese con un senso mitico di terre lontane. I verdi intensi, i gialli sfavillanti, le sfumature di certi azzurri-violacei ed i rossi equatoriali restano nella mente come cristalli rivelatori, quasi a portarci un messaggio segreto di paesaggi esotici, a scoprire il mistero di un mondo fatto solo per divinità profane. La figura, che nella sua fattezza ha il "sapore" di una pittura murale, sembra stranamente (specialmente quando s'inserisce in certe composizioni o si staglia negli sconfinati orizzonti) respirare un'aria gauguiniana del periodo dell'evasione o dello stesso Matisse lontano dalla sua Parigi e più vicino alla spiritualità dei popoli negri.

 


Massimo Bignardi

L’intreccio del tessuto che, velato da immagini, traspare dalla mestica indorata, rinvia all'intero processo creativo delle opere che compongono l' "immaginario" dell' artista. Una trama stretta, ove giochi già organizzati da nodi cui vengono fissati i fili dell' ordito, propongono spazi e forme nuove, in un alternarsi continuo di silhuettes: gli elementi di fondo assumono un ruolo decorativo e di traccia per la costruzione dell'intero rapporto tra lo spazio e le figure che lo animano. Sono, il più delle volte, momenti della memoria a cui Gianni Crispo si affida tranquillo nel farli vivere, speculando e forzando in un rinvio continuo che, in molti casi, assumono il senso della denuncia. In se l'operazione di recupero dei vecchi tappeti, dalla trama corrosa e lenta, permette di vedere oltre, al di là dello spazio pittorico, azzeratesi nell'oro di fondo, assorbendo e riflettendo luce. L'idea gioca sull'iconografia della "mela", simbolica, intesa come "frutto proibito", prima "trasgressione" della regola: come l'elaborazione di un copione teatrale, Gianni Crispo intesse le sue trame, silenziose, sconcertanti lontane dalla retorica. La mela è il fulcro, mentale e visivo, intorno al quale si costruisce l'idea pittorica, organizzata da tratti grafici o, come spesso capita, sfumantesi nella trama di fondo che ne assume le linee compositive. La mela ha un preciso e ben definito riferimento e si evince dall'uso che l'artista ne fa sia pittoricamente, che nella materia: il legno, principalmente anima le sue sculture. Nell'Enigma, una scultura del 1981, i caratteri attentamente studiati ruotano sul gesto tentato di violare il frutto: il ricercato squilibrio tra il corpo e la testa, si rapporta al contrasto tra la superficie ben levigata e le venature naturali del legno che disegnano le rughe, cenci, rimandando ad un volto senile. I tentativi speculativi i rafforzano nell'uso oggettuale della materia esasperanti, lo spingono ad una accentuazione, volutamente demistificante.
Di qui le gabbie, volontà di ingabbiare, imprigionare, nel tentativo, fondamentale ironico, come nella rélise a trompe - l' oeil della mela, di isolare l' "inviolabile". Un preciso riferimento nella sua produzione pittorica trova riscontro emblematico nel tondo Le colomba: ironico, dissacratorio, riflessivo, in cui all'immagine è affidato un significato inverso. Il tutto gioca sul valore simbolico che la colomba assume nell'iconografia corrente, proveniente dalla simbologia sacra. Per Crispo è fondamentale la trasgressione del simbolo, forzata ed accentuata dal contrasto reso tra il fondo oro e le sagome degli uccelli, ritagliati nel tappeto, ridotte ad ombre, in cui si inseriscono i tratti neri dell'inchiostro che disegnano i motivi vegetali configuranti lo spazio. L'idea era già offerta nel tondo del 1980 cui titolo potrebbe esse La violazione: tema costante in tutta l'opera di Crispo, dai paesaggi degli anni Sessanta, fauve, dai toni accesi, rimasti, in una ricostruzione mentale, di una natura primitiva. Il tema é ripreso nelle gabbie e negli interni, che chiudono la ricerca realizzata nella seconda metà degli Anni Settanta, aprendosi poi alle ultime esperienze. Tutto quanto è stimolo per la trasgressione anche per una riflessione sulla esistenza umana, nel suo rapporto con la natura e con le forze che la compongono.

 



Luigi Carluccio

Gianni Crispo ( ... ) giovanissimo, alla fine della guerra ha avuto per maestro Vincenzo Giardo, è fra i primi che abbiano opposto un rifiuto alla tradizione pedante ed accademica al gusto ottocentesco della figurazione, guardando anche con simpatia alle ricerche dei giovani, spronandoli anche se si allontanavano verso orizzonti rischiosi. ( ... ) Egli predilige sviluppi floreali dai colori dolci e violenti, quasi ad offrire con un nitido disegno di contorno la figura allegorica idella sua terra.

 



Conversazione di Piero Girace
trasmessa nel Corriere della Campania del 24 febbraio 1970

Incontro con gli artisti.
Gianni Crispo

Avrebbe tanto da dire della sua vita, delle sue avventure (è stato per alcuni anni in Africa), delle sue esperienze, delle sue emozioni, dei suoi stupori; ed invece quando parla di sé o della sua arte Gianni Crispo, si limita a poche frasi brevi, sotto le quali si nasconde un carattere virile e meditativo.
Uscito giovanissimo dall'Accademia di Belle Arti di Napoli, e popriamente dalla scuola di Vincenzo Ciardo, - già esperto del mestiere della grammatica pittorica - ha partecipato - e spesso con successo - a numerose mostre nazionali, dove ha avuto agio di farsi notare per certa sua spregiudicatezza nell' affrontare i "motivi" con ardite sintesi formali e sonorità d'accenti coloristici.
Poi il suo lungo soggiorno africano, se l'ha isolato dalle varie competizioni artistiche d'Italia, gli ha non poco giovato consentendone un'insolita esperienza.
Gianni Crispo è un pittore tra i più dotati della giovanissima generazione, in una sconcertante fase di fermentazione, al quale sarà forse necessario un maggior controllo delle emozioni e delle sensazioni per il raggiungimento di una maggiore coerenza stilistica. Ma, senza dubbio, egli è un artista su cui potremo contare".

 



Teche ordinarie di con-sacrazione

Tra le teche, le gabbie, le campane di vetro che custodiscono l'emblema per eccellenza del frutto edenico e della tentazione a coglierlo e gustarlo, sono interessanti le tangibili oggettività che Gianni Crispo già realizzava negli anni ottanta, ironizzando sulla mostruosità della superstizione che vanta d'essere antica come Adamo. Logica strutturale, elementarità ed evidenza della comunicazione, manualità sapiente come il dosaggio cromatico, sono premio agli occhi del fruitore. Queste "prigioni" che custodiscono silenzi, anche dove transita l'aria e allude alle sacre architetture, come accade in certe gabbie, suscitano riflessioni che coniugano ragioni estetiche e concrete evidenze sociali. Per una più avvertita lettura dell' opera plastica dell' artista si riportano le immagini di due maschere ricostruite tra impatto emozionale e testimonianza del visto e non perduto.