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21
Gio, Nov

Enzo Battarra

A nidificare lassù, tra le rocce, c’è il piacere di dominare la terra. Se non fosse per i fulmini di Zeus che qui, dal « nido », appaiono più vicini, potremmo dire di aver inventato l’Eden dimenticando l’Olimpo. Mentre in un cielo rovente si accende la saetta, c’è pure chi non può seguire per la «cecità» dello sguardo le evoluzioni del proprio bastone bianco.
In Piero Gatto convivono sarcasmo e suggestione alchemica, invenzioni fantastiche e contrappunti pittorico-oggettuali. L’uso dei materiali più diversi contraddistingue la sua opera. Gli assemblaggi più irriverenti e demoniaci costituiscono il terreno di incontro di fertili rivisitazioni formali.
Spesso l’oggetto rimanda al quadro, facendo parte esso stesso dell’atto pittorico. La « serenata rock» è un’eroica offerta d’amore, perversa e disincantata. I muri con cocci aguzzi di bottiglia o la « maternità » con le ironiche silhouettes dei figli della lupa fanno parte di un atteggiamento disincantato nei confronti dell’opera d’arte, un atteggiamento di continua invenzione formale e di libere incursioni nel gran mondo della citazione.

Anche quando una gran pioggia di simboli alchemici o ricavati ex novo da suggestioni pittoriche inonda i rossi delle tele o le magiche carte, l’equilibrio è lo stesso. Dai seducenti labirinti è sempre possibile uscire, basta ricordare la strada che porta all’occhio dell’universo. Ebbene, quella strada passa tra l’incendio e la passione di un furore estatico. La stella si immola per « Juliet », e si trasformerà in una vela disposta a navigare nell’oceano e a raggiungere quel nome di donna così musicale. Per chi ci guarda dall’alto, questa è poesia.


Giuliana Videtta

ST*ART
agenzia d’arte contemporanea


La pittura è traccia, segno, indizio manifesto di un passaggio, di un corpo, dei suoi gesti.
Perciò è una pratica antica.
E’ con il proprio movimento ( dunque attraverso gesti) che il corpo esce dalla paura originaria, traccia le proprie strade, semina ovunque i segni del proprio passaggio (movimento che non può prescindere dalla materia; materia ‘naturale’ e materia ‘sociale’, materia che è a sua volta forza, movimento, energia, processo…).
La pittura è la presenza (il segno) e indizio di assenza (il gesto).
Perciò è una pratica seducente.
Allorchè lo sguardo dello spettatore percorre la superficie pittorica trascorrendo, di segno in segno, dal segno al gesto, è già sedotto: ciò che è qui davanti, visibile suggerisce al tempo stesso trame di assenza e di invisibile.
E’ il gioco della percezione, del riconoscimento, dell’identificazione del senso (e del non-senso), della connessione fra percezione, memoria, immaginazione…
E’ la “visione divorante” della pittura che si appropria dell’essenza e dell’esistenza, dell’immaginario e del reale, del visibile e dell’invisibile e che invita lo spettatore ad una visione a sua volta “divorante”. In un gioco che si rinnova.
“Vedere è sempre vedere più di quanto si vede”.

*
La pittura di Piero Gatto si offre allo sguardo.
Stesure di colore accostate e sovrapposte su supporti eterogenei (tele legni carte ‘sacchi a pelo’… spesso assemblati), ‘figure’ semplici. Geroglifici di una scrittura ‘primitiva’.
Pittura evocativa nella compresenza di suggerimenti e ‘prestiti’ attinti ad un patrimonio visivo comune, identificabile in rapporto a ciò che sappiamo già (disegni infantili, graffiti, suggestioni africane, orientali, citazioni dalla cultura occidentale, Mirò Klee Fripp Bukowski i colori ‘artificiosi’ dell’elettronicae della droga…).

Questa pittura non è ‘ingenua’, le tracce non rimandano a gesti spontanei, ma a movimenti controllati. Vediamo segni che non si toccano, corpi che non si urtano, traiettorie ‘immobili’, colore che non trabocca. Sospensione, segni e gesti resi privi di senso dalla ripetizione e da una concatenazione che ubbidisce a ritmi segreti.
Non servono a spiegarla leggi di “causa-effetto” o modalità e tecniche psicanalitiche di svelamento dell’inconscio.
Non è la “Legge del significato” a dominare in questa pittura, ma la concatenazione delle apparenze, fatale e segreta. Come in un rito esoterico, come in una cerimonia.


GABRIELE PERRETTA
Flash art

Piero Gatto.
Gatto è un napoletano del 1961, che vive e lavora nella sua città. Generalmente nel suo lavoro sono in uso monocolori che riflettono una situazione molto articolata di immagini dtratte all’archeologia dell’universo consumistico. Gatto in ogni suo lavoro mette in funzione il trasporto dell’immagine, la forma della stampa di quel dato grafico estratto dal cartellone e lo scompone dentro ad un universo inchiostrato da cilindri di ironia e di narrazione. Il sistema che ne esce fuori è avvantaggiato da facili fuori-registro, causati dalla deformazione della carta e dall’alterazione dovuta all’intrusione di altri oggetti di diversa foggia e combinazione. Principio e sistema di composizione sono, nelle grandi linee, gli stessi, se si pensa che il denominatore comune è il doppio gioco della pittura e dell’oggetto. Partito da lavori di grande sagomatura come Era dell’uovo nero, ed stremizzatndo queste simbologie radicali del nostro percorso esistenziale, è giunto in questi ultimi tempi a riflettere di più sulla fotografia del grande manifesto, manipolata e rarefatta sino all’irriconoscibilità per mezzo della pittura. Le fessure, attraverso le quali penetra la luce della stampa fotografica, costituiscono in questi lavori solo il disegno, mentre l’inversione in negativo è data dall’effetto del colore monocromo che semplifica il procedimento e ne dirompe il contrasto estetico.

 

Francesco Galdieri
Il mattino 1994


Fantasmi d’opera nel caleidoscopio di Gatto

Un lavoro duro, che va avanti senza rallentamenti alla ricerca di inedite soluzioni. Nel suo studio che affaccia su largo Tarsia, Piero Gatto, giovane artista napoletano, ha da poco terminato due gruppi di lavori: una quarantina di grandi tavole in totale, realizzate utilizzando immagini preesistenti, dove con un procedimento di addizione – nel caso del collage – o con il processo inverso – sottrazione grazie al tricotilene – appaiono e scompaiono immagini, particolari, macchie di colore; e nascono visioni o «presenze assenti».
«Più dell’opera comunemente intesa – dice Piero Gatto – mi interessa il suo fantasma». Un’ affermazione che rispecchia in pieno il suo modo d’intendere l’arte moderna. Artefice ironico e smitizzante, il trentenne napoletano esordì nell’83 con una collettiva di alcuni artisti dell’Accademia di Napoli presentando lavori di assemblage abbandonati solo nell’88. Sono «le pagine degli inizi», delle prime apparizioni grazie a Sgambati. Allora Piero Gatto usava gli oggetti «più disparati e disperati» (lamiere, bottiglie, foto, legno) consacrando così quell’aspetto non trascurabile dell’arte degli ultimissimi decenni: la ricerca in quel grande archivio che rappresentano gli oggetti di uso quotidiano. Appena due anni dopo (‘85) Piero Gatto mostra il suo lavoro all’estero in occasione di «Jeunes createurs de Mediterranne» a Marsiglia, segue «Massacrare ancora» alla galleria Picasso di Denain nell’87, anno anche della prima personale «20 di guerra» presso la galleria Esca di Nimes. Ancora Nimes, Lione, Hannover, ma anche «Anni ‘90» a Loreto nell’88, «Italia 90» due anni fa a Milano e «Dadapolis», quel bel progetto di interazione tra arte e letteratura con dieci artisti (tutti campani) che Gabriele Perretta curò nel ’91 utilizzando come presupposto il libro di Fabrizia Ramondino – che diede appunto il titolo a questa collettiva – pubblicato nell’89. Il modo di esprimersi di Piero Gatto è molto vicino alla Napoli vista al «caleidoscopio» dalla Ramondino: città sacra e profana, intrisa di apparizioni e dissolvenze, comunque ricca di straordinarie suggestioni da cui è difficile restare veramente estranei e non essere coinvolti.
Piero Gatto, affascinato dall’aspetto ludico del lavoro, contrario a qualunque etichetta del panorama dell’arte contemporanea e attratto dal «mistero», «gioca» con le immagini che propone.
Ma non solo, ironizza anche con il suo cognome. Un gioco linguistico divertente e vivo, che sfugge ai richiami facili e cerca legami e nessi spesso inesplorati. A volte è semplicemente Piero Gatto, altre Gatto Felix (pseudonimo che lo accompagnerà nella prossima personale a Nimes entro l’anno), altre ancora Gatto- Silvestro - un duo, ma anche «un unico personaggio ineffabile» con Franco Silvestro, 32 anni di Afragola – che in questo mese esporrà al «Forum d’Arte Contemporanea» a Roma al fianco di giovani artisti inglesi e americani e di Gabriele Di Matteo, altro artista under 35 campano.


Vincenzo Trione

NAPOLI CITTÀ D’ARTE/ «MUTOIDI», «POP PLANET» E LA PERSONALE DA MORRA.
Il Gatto e altri «irregolari», alla ricerca di nuovi linguaggi.

Napoli, città dell’arte. Crocevia contraddittorio e «proteico», vasto e confuso, «collocato dentro un’ambigua modernità» (Fofi), capace di esprimere lingue nuove, da sempre, costituisce un’attrazione per le leve più giovani di artisti. Lo dimostrano tre esposizioni da poco inauguratesi: Mutoidi (presso il Maschio Angioino: fino al 2 febbraio); Pop Planet (da Theoretical Events, in Piazza del Gesù,33: fino al primo febbraio); e la personale di Piero Gatto che si tiene (fino al 20 gennaio) allo studio Morra (in via Calabritto, 20).
Nata per iniziativa dell’Assessorato all’Identità del Comune di Napoli, Mutoidi è un’occasione sprecata. Ospitata nella Sala Santa Barbara del Maschio Angioino - che raramente ospita opere di giovani artitsi -, Mutoidi è una mostra piuttosto approssimativa, assai poco omogenea. Organizzata, forse con troppa frettolosità, con qualche superficialità senza un progetto critico serio, presenta (per la maggior parte) opere di artisti italiani e stranieri, che, nel corso degli ultimi anni, hanno esposto in alcune gallerie napoletane. Il curatore, Massimo Sgroi, riunisce un gruppo di circa trentacinque operatori molto differenti fra di loro, che lavorano sulla mutazione, sulla rarefazione e sulla sparizione, delineando una - anche se asistematica e parziale – geografia della situazione delle ultime generazioni. Gli artisti presenti in mostra, che possono essere suddivisi in due gruppi (stranieri e italiani:molti dei quali napoletani), sono «ossessionati – scrive Sgroi – da mari che soffocano l’immaginario»;costriuscono immagini legate ad un ritmo, sincopate «come il jazz e come lo zapping», tese a provocare «un insano senso di spiazzamento».
Ancora privi di una cifra stilistica matura, questi artisti - «assemblati» in maniera generica – si presentano come «irregolari» battitori liberi: insofferenti dinanzi ad ogni logica di gruppo, intrattengono un fitto rapporto con il mercato e, soprattutto, con le esperienze dell’universo artistico contemporaneo.
Più omogenea appare, invece, Pop Planet, la divertente collettiva allestita nelle sale del Th.e. Si tratta di una mostra in cui il curatore, Guido Costa, ha voluto sondare alcune «costanti esistenziali» che sono sentite con sempre maggiore forza dalle ultime generazioni. I sei artisti selezionati tornano a riflettere sulle figure e sulle espressioni della cultura di massa del «mid-cut»; sanno parlare il linguaggio delle cose. Lavorando con il video, con la scultura, con la pittura, con la fotografia, con l’installazione, si interrogano sul senso del già fatto, dell’«assolutamente semplice». Non c’è l’ironia dello sguardo dei padri del Pop «storico», ma c’è una sorta di divertito understantement, di giocoso spiazzamento: è il caso della colorata altalena di Berardinelli e delle fotografie di Paleari. Delineando una mappa della variegata geografia della cultura popoggi, l’esposizione si fa «involontariamente» indagine generazionale, «un piccolo lessico portatile di stili, idee, materiali e cromatismi».
Il napoletano Piero Gatto, infine, nella mostra ospitata da Morra, si trasforma in Gatto Nero; assume le sembianze di un’astronauta e ci conduce in viaggio nella notte galattica, alla ricerca di suoni, di immagini, di voci. Eccoci, allora, in cielo, tra le stelle. Il mondo è giù, e noi lo guardiamo dall’alto. A terra, nella galleria, troviamo sparse alcune forme circolari nere, «sostenute» dal vetro o dalla moquette, in cui appaiono costellazioni spaziali, dalle quali affiorano alcune immagini umane appena riconoscibili. Siamo in un’astronave, e tutto è possibile.


Luigi Castellano/ Luca 2000

Martedì 25 gennaio ’00 ore 20:00


all’inizio è di scena - l’attesa - , premessa per introdurre alla nascita letture mediate dalla suggestione di figure altre in un continuo distribuirsi e disperdersi come commedia di somiglianze, nate nel coraggio di spiegarci qualcosa di noi.
Una ricerca che, scartata la scelta di repertori frammentati, esalta la molteplicità di possibili approcci utilizzando - traduzioni - non contrastanti. Da un tale - prologo - si passa a più vaste scene del fascino di uno stile, ove si inseguono e si svolgono le immagini di un recitato, capace di informare la - giostra - montata. Una - giostra - di identità messe a confronto dal pianeta terra, con de-formazioni umane e razionali per travolgere di continuo l’improvviso.
GATTONERO non ci presenta evocazioni uscite dal supermercato di una sua inesauribile ribalta di pensiero e di sensività per sottrarci allo stupore. L’artista fa coincidere sempre resti tellurici tra natività improprie, in nuovi movimenti sapientemente riconducibili ad un - recitato - significativo delle sue solitudini. un delirio della sua intelligenza, chiuso in spazi, scritture ed immagini particolarissime e difficili da dimenticare nel loro bruciante panorama.
Anche perché somiglianti a tante miniature mediatrici del conservare intatto il meravigliarsi, spesso portato a dividerci, al di là di spettacolazioni o dello spartirci parole complici delle emozioni di uno sguardo. queste - atmosfere-, tra capricci infantili e fantasie costrette a rivivere nella recitazione di flashs-back, cercano sempre nuove avventure.
passando tra agilità veloci e spezzoni di storie che specchi a doppia faccia, porterebbero ad una perdita di memoria offerta da modificazione di un linguaggio verbo-visuale, quasi per legarlo solo alle necessità del decifrare.
Questa la - vetrina – delle proiezioni che GATTONERO finisce per farci catturare da - situazioni - rispondenti continuamente, ad un altro se stesso; nel rischio di necessarie sovrapposizioni con la testimonianza di effetti ed emozioni di una tradizione vicina, cui la memoria della messa in vista è dedicata.

 

RENATA CARAGLIANO
La Repubblica. 26 aprile2006

Domani il vernissage nella Galleria Scognamiglio.
Le stelle di Gatto nel cielo di Chiaia

Doppio sogno in bianco e nero per una doppia installazione dell’artista napoletano Piero Gatto, classe 1961, domani nella Galleria di Mimmo Scognamiglio. Da Schnitzler a Kubrick, da Freud a Bion, “Catus Major” è il titolo scelto dall’artista per raccontare il proprio viaggio onirico fatto di meteoriti e costellazioni tra aria a terra.
Catus Major è una costella zione di pura fantasia, racconta Gatto,
L’artista: “Il mio sogno che tradotta e parafrasata diventa “Occhio del Gatto”.
abitato da costellazioni Lo spazio della Galleria è trasformato in un mondo siderale
e meteoriti si sviluppa dove si perde la sensazione del proprio peso corporeo a causa
nello spazio e nel tempo” della legge di gravità, anche perché sembra di essere arrivati in un pianeta in cui tutti e cinque i sensi vengono risvegliati e stimolati.
Si cammina su di un pavimento nero completamente rivestito da una guaina d’asfalto appiccicosa e che al calpestio emette rumore. Le meteoriti in carta di giornale stropicciata, unico elemento di tenue colore nella descrizione di questo sogno, sono elementi estranianti, pezzi di realtà caduti e disposti lì per caso.

C’è un lieve odore di plastica in questa atmosfera in cui la luce è bassa e la parte aerea è riempita da sette costellazioni, sette finestre sul cosmo, fatte dall’artista su pannelli in pvc disposti a parete. Le costellazioni corrispondono a sette figure realizzate con metri da falegnamegialli dai titoli evocativi (Stella Deambulante, Notte Tempo, Animale Temporale, Catus Major, Nebulosa NGC6845). L’unità di misura del metro scandisce il tempo in questo viaggio spazio-temporale e disegna una sorta di graffiti incisi sulla materia nera. Un gioco di rimandi tra elementi fantastici e quasi fantascientifici che ci fa vivere in un’atmosfera lontana, rarefatta e asettica: è forse un altro modo di guardare al mondo quello che l’artista ci prospetta evocando ricordi, suggestioni e dove si riaffacciano fantasmi di cose pensate ma non realizzate, che inducono ad una indagine nelle “regioni segrete” del nostro essere nel mondo.
Le impressioni oniriche prendono forma come Sul pavimento appiccicoso asteroidi
immagini visive e possono così essere di carta e giornale e comete fatte
mentalizzate e ricordate. con i metri che usano i falegnami.

Vernissage domani alle 19.30 da Mimmo Scognamiglio (Via Mariano d’Ayala 6). La mostra dura fino al 2 giugno (Lun-Ven 10:30-13:30; 15:30-19:00).


Tiziana Tricarico
IL MATTINO 28 maggio 2006

Gatto, viaggio nel sogno alla ricerca delle stelle.

ITINERARIO interiore. Sogno ad occhi aperti. Gioco. Un progetto nel quale ogni elemento sembra disposto a caso ed invece asseconda un preciso disegno.
«Catus Maior» è il titolo dell’installazione site-specific di Piero Gatto in mostra da Mimmo Scognamiglio Arte Contemporanea.
Napoli, deposito stella polare: «Catus Major» - Gatto maggiore - è una costellazione virtuale vicinissima alla reale nebulosa NGC6845, denominata «occhio del gatto». Il lavoro dell’artista napoletano, appassionato di astronomia, invade completamente gli ambienti della galleria di Via Mariano D’Ayala 6, ricreando sulle pareti finestre sull’infinito che si aprono su costellazioni stilizzate seguendo i segmenti di un doppio metro in vetroresina, utilizzato ed ipotizzato come unità di misura temporale.
Nel viaggio compiuto nello spazio/tempo di un sogno i dati inediti registrati e riportati sulla terra sono reperibili e percepibili ad occhio nudo. «Si tratta di un work in progress - spiega l’artista che gioca con il suo nome - già prima di questo progetto avevo realizzato lavori che spaziavano tra reale e immaginario. Le mie costellazioni, realizzate attraverso la decontestualizzazione di un oggetto che mi ha sempre affascinato molto, il doppio metro, sono assolutamente virtuali.»

I reperti, costituiti da costellazioni di anomali animali e meteoriti, testimoniano in tempo reale di un tempo irreale ed onirico. Attraverso un’accurata scelta dei materiali Piero Gatto mira a coinvolgere, oltre alla vista, altri sensi come il tatto, l’udito e l’olfatto. Il calpestio dei visitatori che camminano sulla guaina d’asfalto che accoglie i meteoriti - i quali «rischiano» di essere spostati di continuo - produce un rumore insolito e sprigiona l’odore determinato dai composti del bitume. Gli stessi frammenti di roccia, precepibili quali resti di una supposta pioggia spaziale - realizzati con carta di giornale manipolata e gel plastificante - svelano un aspetto umano se pur deformati dalla condizione di esseri metatemporali: così il volto di Elvis Presley, quello di Michail Gorbaciov o di Paul Newman. C’è anche una piccola stella che, assecondando la vena lucida dell’artista, non può che essere marina.

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