Lara Vinca Masini, l'ombra del mare
Maria Cristina Antonini ha sempre lavorato sull'astrazione pura, sull' analisi del colore, che rappresenta, per lei, il mezzo per organizzare lo spazio della sua pittura, che va dall'opera di grande dimensione al piccolissimo quadrato di cartoncino Arches, con brevi tratti di colore, che sembrano il tocco lieve di un dito, una sorta di impronta digitale che è anche l'impronta "visibile" di una sensibilità sottile, sempre sull'orlo di un crollo, ma anche, sempre, pronta a cogliere l'improvviso insorgere di una speranza nuova. Con questi piccoli dipinti Cristina realizza piccole serie, che significano alfabeti, calendari, ritratti… e che sono il suo modo di comunicare con gli altri, di esprimere amicizia, affetto, partecipazione, il suo modo di far sentire agli altri che è là, pronta ad ascoltare, ad aiutare, a partecipare.
I nuovi quadri, che Maria Cristina Antonini presenta in questa mostra, sembrano voler riprendere, con una sorta di colto e raffinato citazionismo, i modi di quella che, negli anni Sessanta, si definiva "pittura cromatica astratta", pittura "color field" (campo di colore), o anche "Post Painterly Abstraction" e "Monocrome Malarei", che si riportava, a sua volta, a Rothko, Louis, Newman, Reinhard, e proseguiva, poi, in quella che si poneva, negli anni Settanta, come "Pittura pittura", "Riflessione sulla pittura". I nomi erano quelli di Geiger, Girke, Leverett…Era questo il momento nel quale la pittura si dava come corrispettivo della Conceptual Art.
E, a ben guardare, tutto questo c'è nella pittura di Cristina. Ma è sempre come filtrato attraverso la sua sensibilità sottile, fatta di poesia, di rimandi culturali e, anche, letterari che sembrano voler trasferire il rumore delle onde ("Le onde si ruppero a riva"), quello del silenzio ("Le tue palpebre si chiudono sul loro sogno", "Palpiti"), delle nuvole, dei ricordi ("Custodire la nostalgia"), invece che in poesia "verbale" come in quella (d'altronde amatissima da Cristina) di Virginia Woolf, in poesia "dipinta". E se si osservano bene questi lavori, si vede che questa pittura/poesia è fatta di passaggi sottili, di vibrazioni, di variazioni quasi infinitesimali di colore (il suo colore va dal grigio a lievi, morbidissimi tratti di azzurro, di rosa tenue, ad un color tortora che si ispessisce in un dorato).
Maria Cristina Antonini usa la velina giapponese incollata su tela o carta, e vi interviene con acquerelli, ora in velature lievi, ora in stesure più dense, che provocano, durante lo scorrimento, come degli strappi dagli orli bruciati ( e vien da ricordare le bruciature delle plastiche di Burri), e, in basso, provocano ispessimenti e densità, come nei grandi lavori di Morris Louis, il colore si addensa sul fondo, lungo le piegature della tela. Ma il quadro di Maria Cristina Antonini non è mai monocromo: è diviso in sezioni, corrispondenti ai riquadri di velina incollati, sotto il colore, spesso sottolineati da un breve tratto bianco, libero dal colore, e che creano, all'interno, un discorso musicale, con variazioni, accordi, riprese.
Perché per lei la pittura è anche narrazione, narrazione di vita interiore: si vedano, ad esempio, i quadri che essa definisce "Ritratti". In quelli essa interpreta i suoi soggetti attraverso il colore, a mezzo del quale li legge, e i suoi lavori si concretizzano in racconti colorati fatti di attese, di sogni, di speranze, di delusioni…E' come se il suo sguardo pittorico sfavasse all'interno della psiche, a cogliere la fluttuazione del pensiero, delle sensazioni, e le traducesse in lievi stesure di colore.
Forse ho trattato troppo i lavoro di Cristina dal punto di vista psicologico. C'è anche, in realtà, nel suo lavoro, una progettazione severa, lucida (in ogni operazione artistica, per quanto gestuale e libera possa essere, esiste sempre una progettualità di base, una trama di partenza), che lascia libertà allo scorrimento del colore nella misura in cui la volontà creativa lo permette.
Il suo quadro non consiste mai, in realtà, in una stesura uniforme, ma si presenta come una superficie mossa, articolata, ricca di "eventi", secondo una complessa strutturazione dinamica.
Perché anche la formazione tecnica e teorica è, per Maria Cristina Antonini, un fattore di altissimo rilievo.
Laureata in lettere e diplomata all'Accademia di belle Arti, fino a qualche tempo fa ha insegnato lettere; da qualche anno insegna pittura all' Accademia di Belle Arti di Palermo: E lo fa, com'è suo costume per ogni attività cui si dedica, con estremo rigore e con grande dedizione, riuscendo a non confondere la propria impostazione pittorica con la sua didattica, che è teorica, tecnica, culturale, e lascia agli studenti (come dimostra una interessante mostra "con fine" nel giugno 2000, a Palermo, a palazzo Molinelli, sul lavoro, appunto, degli allievi), una estrema libertà di espressione.
Ho visto soltanto il depliant, ma mi sono bastate le immagini dei lavori (così vari e divaricati) e i temi che li sottintendono (con fine-linea-contorno-passaggio-limite-terra-di nessuno-soglia-bilico-appartenenza-estraneità-separazione-avvicinamento-confinato-confinare-infinito-confine-come spazio di dialogo) per rendermi conto dell'apporto che un tipo di insegnamento nutrito di un pensiero così aperto verso i problemi del nostro momento culturale può rappresentare per i giovani.
lara vinca masini, l'ombra del mare, casina pompeiana, napoli, catalogo, 2001