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03
Mar, Dic

ANTOLOGIA DELLA CRITICA:

Il 16 Luglio 2006 si è spento Crescenzo del Vecchio. Pubblichiamo con piacere il ricordo che il critico Battarra ci ha inviato per ricordarlo.

Enzo Battarra ricorda Crescenzo Del Vecchio


Crescenzo Del Vecchio, l'artista, il maestro, è scomparso. Ha lottato contro la malattia, con il suo coraggio di sempre, con tutta la sua passione per la vita, con il suo grande amore per ciò che lo circondava e per il mondo intero. Ma non ce l'ha fatta!
Vorremmo ancora dirgli che gli vogliamo un bene enorme, che per noi è stato ed è un riferimento insostituibile. Questo a Caserta, da sempre la sua città adottiva, a Baselice, paese suo natio, a Maddaloni, luogo del suo impegno civico. Ma sicuramente in queste ore lo stanno piangendo i suoi ex allievi delle Accademie di Napoli, di Bari, di Brera a Milano. E lo piange tutto il mondo dell'arte. È stato per me e per tanti altri, più che suoi allievi suoi figli adottivi, un gigante, un Gulliver, tanto per citare uno dei temi artistici a lui più cari. Ha letteralmente allevato generazioni di operatori culturali in tutti i territori in cui ha operato. Molti sono oggi artisti affermati, anzi affermatissimi, altri, come me, fanno i critici d'arte, altri comunque sono rimasti legati alla vita culturale del Paese. Ha insegnato non l'arte, ma l'amore per l'arte, che è cosa molto più sublime. Artista dalla tecnica pittorica eccezionale, per non dire mostruosa, mi ha trasmesso la capacità di valutare la capacità creativa, la genialità, la comunicatività.
Mi ha insegnato ad andare oltre la tecnica, pur senza mai dimenticarla. Mi ha fatto appassionare all'arte trent'anni fa, quando in una bottega culturale di via Colombo a Caserta, Lineacontinua, condotta dal compianto Armando Napoletano, mi coinvolse in una performance, "La muricciolaia". Entrai nelle foto ed entrai nel mondo dell'arte, iniziando subito dopo a scrivere i miei primi testi. E, mi piace ricordarlo, fu mio padre a presentarmi Armando e poi Crescenzo. Ora non c'è più. Sarebbe fin troppo facile dire che restano le opere, ma, per quanto splendide, non riescono a colmare il vuoto della sua mancanza. Perché la genialità artistica di Crescenzo inondava i suoi lavori, ma si riversava su tutti noi, era in lui, quasi come una materia palpabile. Mentre scrivo mi emoziono, ma voglio dire che forse le sue opere più belle sono le tante persone che lui ha coinvolto, ha fatto innamorare dell'arte, ha cresciuto nel segno di un impegno totalizzante nel campo culturale.
Anch'io sono una sua opera, o se preferite sono opera sua. Da lui ho assorbito anche il senso delle istituzioni, l'impegno civico. Crescenzo è stato assessore nella città di Maddaloni e ha fatto sempre politica attiva. Perché la cultura ha bisogno di essere proposta e sostenuta nelle sedi istituzionali. Avevamo la stessa tessera di partito ma avevamo soprattutto lo stesso obiettivo politico, nel senso pieno del termine.
Caserta dovrà ricordare Crescenzo Del Vecchio Berlingieri, l'artista che amava aggiungere al suo cognome anche quello della madre. La città dovrà ricordarlo molto più di quanto abbia mai fatto. La sua mostra del marzo 2001, che inaugurava la sala espositiva del Centro Sant'Agostino, è stata un giusto tributo, ma molto tardivo, al suo genio.

A Benevento, nella Rocca dei Rettori, la sua ultima personale.
Era l'11 marzo scorso, la malattia gli stava minando il fisico ma non gli aveva tolto certo l'entusiasmo della creazione, e volle che a presentarlo in pubblico fossi io. In quell'occasione, pur di raggiungerlo, superai con l'auto una bufera di neve. Oggi più che mai sono felice di averlo fatto! Un pensiero alla sua famiglia, a Teresa, la moglie che ha assolto in modo esemplare il difficile compito di assecondare il genio che era in lui, e ai figli, tutti e tre bravi nel portare dentro di loro il suo insegnamento di vita, Benedetta, Maria Adele e Gigiotto, quest'ultimo mio vero e proprio fratello minore.

Le opere in questa pagina sono tratte dalla mostra “Familiari“ di Crescenzo Del Vecchio Berlingieri alla Galleria delle Arti Contemporanee di Caserta, nel marzo 2001.

Come scrive il dott. Gianmaria Piscitelli nella presentazione della mostra: “Questa mostra è la scelta di campo di una istituzione, quale la Galleria delle Arti Contemporanee…
Abbiamo inteso da un lato attestare il ruolo dell’arte casertana nel panorama mondiale delle avanguardie e, dall’altro, abbiamo voluto fare una scelta internazionale, perché Del Vecchio è artista di spessore e di storia, considerato anche al di fuori dei confini della nostra nazione.”
“Noi spettatori corriamo l’avventura di fare parte di un happening, improvvisato nella misura in cui è casuale la nostra partecipazione ed in cui è programmata l’azione delle componenti dell’opera, del quale prendiamo coscienza soltanto a processo avviato, ed alla cui fine scopriamo che non siamo i lettori che incorporano passivamente messaggi e informazioni precostituite dall’artista, ma siamo gli elaboratori dei segnali che sono disposti nell’opera e ci pervengono con la cadenza e la successione che ha loro imposto il progetto del pittore. E in questa scoperta ha rilievo la coscienza che noi e l’artista diventiamo i co-autori del “significato”, cioè del valore da attribuire all’esperienza che andiamo a conducendo”.(Flavio Quarantotto)

 


T0T0' TARZAN
CONTRO IL CICLOPE DELL'ARTE

Pino Milella

L'attuale "società della comunicazione" ci offre un inferno di immagini sempre più violen
Essa ci appare sempre più paradossalmente "svelata" in questo sistematico progetto prodi smantellamento delle difese latenti di ogni soggetto, attentando quotidianamenl'integrità della nostra coscienza critica individuale.
L'arte di Crescenzo, Gulliver in terra di nani, appare come rara "oasi naturale" in uno sconfinato deserto.
Questo luogo "altro" (dell' arte) è abitato da un personaggio eccezionale: Totò-Tarzan, proattuale superamento del "superuomo", o forse meglio dell' ‘oltreuomo’ nicciano, e ultimo mito possibile contemporaneo di que"fin de siecle" , eroeantieroe e solitaria presenza in un piccolo angolo di "paradiso terrestre", l'immagine slitta indefinitivamente dal reale all'immaginario in un incatenamennarrativo che è in continua variazione. L'apparizione del grande "demiurgo" sarà fatale, in una condizione di "sospensione" nello spazio e nel tempo, il pensiero si troverà "depensante" e "altrove" annullato dalla gravità dell'esistente", egli allora "canterò", la sua poesia direttamente al nostro inconscio, senza mediazioni, semplicemente apparenmanifestandosi; lo sua forza creativa ed evocativa avrà così effetti liberatori, "terapeuda qui lo sua potenza "sciamanica". Ma attenzione, lo stregone non concede repliche alla sua arte e lo sua apparizione inaspettata è uno spettacolo eccezionale, appunto "extra".

Bari, maggio 1991

 


TOTO' TARZAN

SCIAMANO DEL RIONE SANITA'

Crescenze Del Vecchio Berlingieri
E' questa un opera che nasce da un evento nevrotico e si trasforma in evento «poetico» Nevrotico, perché è parodia della parodia, tic intellettuale di chi ricorda in positivo lo mascella distorta della verità. Confessionale, perchè la sacralità è data dalle cose o oggetti presentati: "La manifestadel sacro in una pietra o in un albero non è meno misteriosa o degna della manifedel sacro di un «Dio»".
Ed ecco Totò Tarzan (Parte-nopeo, parte-che diventa per la "Tribù della Sanità", degno rappresentante delle tecniche primordiali dell'estasi, poichè per essa è mistico, magico, religioso.
E ai piedi nudi di Totò non vi è il pino delle iconografie abituali napoletane ma, l'albero della vita e della immortalità, arricchito da simboli ed equivalenti mistici (Iiana, casa, animali) e con questi elementi si ha un quadro di simbolismo lunare e iniziatico.
Anche se questa di Totò Tarzan è una ierofadi modeste proporzioni è esplicito comunl'eterno ricominciare, il continuo ritorno a un istante atemporale, un desiderio di abolire la storia di cancellare il passato, di ricreare il mondo.

Ed il rinoceronte, animale mitico, fallico, poderoso, non canta più nel coro della giunè triste ed immobile e con esso è triste il RinoTotò (piccolo nato da un rapporto tra Totò e una rinocerontina) e su questa tristezza si sente un forte "odore" d'estinzione.
Sui rinoceronti scendono gli spiriti, i quali ci indicano i segreti della natura e con essi intraprendiamo un viaggio estatico nel cielo. E il bambino che guarda e indica è lo stesso che uscendo dalla cultura tribale della Sanità è entrato nella savana dei delitti di costume e di consumo. Egli seduto sulla sua sediolina ci indica, ci guida nella magia mistica primitiva. E il suo è un momento di meravigliata solitudi è solo in una folla di persone disutili, mangiatori di fuochi fatui e "pompieri" di entusiasmo. E la scultura mediatrice degli spii rinoceronti, l'albero cosmico, RinoTotò, diventano uno spettacolo "oltre" o "extra", affabulante, estatico, ierofanico.
E questo spettacolo è "sciamanismo partenocioè espressione di vita in crisi e di notevole regressione. Ed all'interno della "dialettica delle ierofanie" che si legge la separazione radicale tra profano e sacro, tra natura e "nuova civiltà", costituendo lo frattudel reale. Ditelo a tutti, Totò-Tarzan se ne torna a casa sua, ritorna sull'albero della vita.
Giugno 1991